Victim blaming occurs
when the victim(s) of a crime, or
any wrongful act are held entirely or partially responsible for the
transgressions committed against them.
Nonna la spesa la
faceva tutte le mattine. Prima di andare al lavoro. Pero’ la sera, se finiva
qualcosa e bisognava comprarlo, non le andava di rivestirsi e uscire, quindi
mandava me. I soldi mai contati, ma lista in mano con accanto i prezzi, e la
previsione di resto da ricevere, tutto ben spiegato per essere certa che il pizzicagnolo
non si approfittasse di una bambina che sapeva fare appena le addizioni. Poi sempre
per proteggermi, mi ripeteva a voce quello che aveva scritto, e infine sulla porta aggiungeva sempre la stessa
tiritera: Prima di attraversare guarda prima a destra e poi a sinistra, passa
quando non ci sono macchine, compra tutto non ti scordare niente, e torna
subito a casa. Non parlare con nessuno, con quelli che non conosci ma soprattutto con quelli che conosci, perché il
piu’ pulito c’ha la rogna. Quello che mia nonna, per amore, faceva, era
insegnarmi a proteggermi. Mi insegnava che la mia sicurezza dipende da me. Dal
mio comportamento. In molte siamo
cresciute cosi’, in molte abbiamo sentito questa lezione. Mano a mano che crescevamo cambiavano i
pericoli dai quali dovevamo imparare a guardarci, il problema non erano piu’ le
macchine che sfrecciavano agli incroci,
ma quelle che ti rallentavano
vicino, e poi le scarpe la gonna, l’acconciatura. Non ti mettere i tacchi , che se devi correre
come fai? Non ti fare la coda, che mentre scappi
è facile da prendere, non ti
vestire troppo appariscente , non vuoi farti notare mentre aspetti l’autobus .
La lezione che le nostre nonne e mamme cercavano di ficcarci in testa, l’abbiamo poi risentita, in occasione di fatti di cronaca o di quartiere, sputata fuori da bocche senza amore : Sta cretina, in giro da sola a
quell’ora di notte, se l’è cercata. E in fondo in fondo lo abbiamo pensato pure
noi. In fondo lo abbiamo pensato: ma non lo sai che è pericoloso? Ma non lo sai
che coi tacchi non si corre? Non lo sai che se bevi troppo poi diventi lenta?
Tutte le volte che leggi / senti/ vivi un fatto di violenza la prima reazione,
quella condizionata è sempre la stessa: dovevi/dovevo stare piu’ attenta. Dovevo
immaginare che sarebbe successo, dovevo sospettare che lo avrebbe fatto, dovevo
sapere che non mi stava dicendo verità , e ancora se pure non potevo prevedere immaginare sapere
allora potevo/dovevo fare di piu’
correre di piu’ gridare di piu’ difendermi di piu’. Quanto tempo ci vuole a perdonare a se stesse
di esserci lasciate fare violenza? Quanto tempo ci vuole a superare la vergogna
di non essere state in grado di difenderci? Troppo.
Siamo state tutte bambine educate bene. Mo
basta.
Io non voglio piu’ stare attenta a quello che
mi metto, non voglio scegliere le scarpe in funzione del fatto che potrei dover correre
per salvarmi il culo, voglio guardarmi allo specchio per vedere se sono carina,
non se sono indecente(?) o troppo provocante, voglio che mia nipote di 17 anni
sappia che il mondo è pieno di porci maledetti, ma non è colpa sua, e che se
qualcuno ti fa del male, non lo fa perché eri ubriaca, o svestita, o hai riso
troppo forte, lo fa perché è un mostro, e che se il terrore ti taglia il fiato e non
riesci a correre non è colpa tua, se non
ti sei difesa, non è colpa tua, se tutto quello che hai fatto non è servito a fermarlo, non è colpa
tua. Non è vero che la violenza capita a
chi se la cerca, non è vero che la violenza la eviti con un paio di jeans e le
scarpe da ginnastica. La violenza capita. Ad una donna su cinque.
La violenza capita anche perché si insegna alle
bambine che non devono farsi fare violenza , ma raramente si insegna ai bambini
che non si deve fare violenza.
Bellissimo post, mi permetto di diffonderlo un po'.
RispondiEliminaservirà? servirà.
RispondiElimina:)