sabato 4 agosto 2012

Dentro la città l'inferno

«Le Mantellate so’ delle suore, ma a Roma so’ sortanto celle scure. Una campana sona a tutte l’ore, ma Cristo nun c’è sta drento a ‘ste mura».

Quando Egle comincia a sentirsi soffocare, perchè la cella non basta piu', l'aria non passa e quella poca chè c'è arriva già respirata da altre, quando pur di uscire da quella tomba di cemento e ferro accetta di lavare i panni delle monache, e va in terrazza, sempre con quella sottoveste nera e uno scialle a coprirle le spalle, il vento la prende a schiaffi in viso usando i suoi stessi capelli, gli zoccoli suonano forte sul cemento gelato, c'è l'acqua che scroscia e sembra ghiaccio liquido e altre donne che cantano e sciacquano lenzuola troppo bianche per essere vere. E poi c'è lei, la matta, quella che ha affogato il figlio, messo dentro un cestello di vimini e lasciato in tevere, sperando che galleggiasse, invece no, il cesto "s'empito d'acqua e il pupo è nnato giu' "come la camiciola dentro il fontanone del carcere giudiziario di Regina Coeli
Poi gli strilli, donne buttate in terra,dolorose come fasci di nervi scoperti, monache nere e serie che soffocano la voce lucida della coscienza, e Lei,Egle, che vacilla un attimo, che quasi singhiozza e pensi che forse adesso piange, e invece no.
Il singhiozzo diventa un urlo e poi una risata " aho, che robba che se deve vedè".
Ecco, qui , io piango.Sempre.
E come Egle, me lo scordo, e lo rivedo, sto film, lo rivedo.

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