mercoledì 4 maggio 2011

you're a little mistery to me

Come sail your ships around me
And burn your bridges down.
We make a little history baby
Every time you come around.

Come loose your dogs upon me
And let your hair hang down.
You are a little mystery to me
Every time you come around.



Seduta sulla sabbia, di fronte il mare.

Una pazzia delle mie. Uscire dall ‘ufficio all’improvviso semplicemente perché non ne puoi piu’. Guidare fino al mare ,ovunque sia il mare. Togliersi le scarpe e sentire la sabbia ancora invernale che ti graffia le piante dei piedi. Il sale che dal naso scende fino alla gola e si fa spazio dentro, giu fino in fondo al petto .Il rumore della marea,per sincronizzarci il respiro. E il freddo dell’acqua passata sul collo,per svegliarsi davvero e assicurarmi che ci sono arrivata a casa e non lo sto immaginando. 


We talk about it all night long
We define our moral ground.
But when I crawl into your arms
Everything comes tumbling down.
Come sail your ships around me
And burn your bridges down.
We make a little history baby
Every time you come around. 



Ho continuato a leggere fino a che c’è stata luce.Ho letto mentre il sole tramontava sul mare,

Ho letto litigandomi le pagine con il vento, ho continuato a leggere anche quando la sabbia è diventata di ghiaccio,e intorno a me s’è fatto piu’ buio.

Il Punto è che questo è stato un inverno particolarmente lungo.

Particolarmente buio. Particolarmente freddo. Particolarmente solitario.

Spesso ho avuto voglia di coprirmi la testa con il piumone e non uscire dal letto.

Ancora piu’ spesso ho avuto voglia di correre a casa a coprirmi la testa con il piumone.

Ma l’ho voluto cosi’. 

Ci vuole l’inverno ogni tanto. Certo mentre,non è che proprio te lo godi. Anzi. Il letargo come strategia della sopravvivenza acquista improvvisamente senso. Peccato che a me il letargo mi abbia preso al contrario. Sveglia di notte, narcolettica di giorno. C’è chi la definirebbe punta di depressione, ma io alla depressione ho sempre preferito un sano delirio di onnipotenza.

Onnipotente o depressa, la sostanza non cambia.

Ho pianto, troppo poco in effetti,che piangere invece farebbe sentire meno il dolore.

Ho gridato. Troppo in effetti, che a strillarli i concetti il valore non lo acquistano , lo perdono.

Ho taciuto. Il giusto, che non si puo’ sempre spiegare tutto,sapere tutto,rispondere a tutto.

Ho chiuso una storia, una vita,e adesso mi preparo a chiudere anche la porta di casa, io che non ho mai le chiavi.

Si ,decisamente buio freddo solitario lungo st’inverno.

Your face has fallen sad now
For you know the time is nigh
When I must remove your wings
And you, you must try to fly.



Pero’ si stava bene al mare stasera. Quando sono arrivata la sabbia non era proprio calda,ma caldina. Giusta.

Non so perché,non so come,non so neanche quando, ma ho cominciato a desiderarla l’estate. 

Stasera,sulla spiaggia,leggendo le parole del mio uomo ideale,del lanciatore di coltelli che mi salverà dal ponte, mentre guardavo lontano dove il cielo s’appiccica col mare, mi è tornata voglia.

Voglia di 3 settimane di ferie per esempio.

Voglia di un posto diverso da questo. Di svegliarmi quando apro gli occhi e leggere fino a che non mi si chiudono. Di dimenticarmi di guardare l’orario e scordarmi che giorno è. Voglia di un posto sconosciuto,che mi presti i suoi prati i suoi alberi le sue coste,per sdraiarmi e non fare nulla .Voglia di non capire una parola di quello che si dice intorno a me . Sonorità sconosciute, inarrivabili per il mio cervello Praticamente musica.

Voglia di non sapere dove mi trovo,e girare a casaccio tanto non devo andare da nessuna parte. Posso perdermi quanto mi pare e chiamarla comunque passeggiata,che l'unico labirinto che mi interessa in questo momento è il mio,e non ci voglio mostri al centro.

Voglia di non sapere cosa mangiare, o quando mangiare, o come si chiami quello che stai per mangiare e che hai indicato con un dito su un menu’. Sapori nuovi sulle labbra e sulla lingua.

Voglia di non avere punti di riferimento, geografici,sociali,emotivi.

Voglia di parlare solo con chi hai voglia e quando hai voglia,altrimenti zitta.

Fare finta di non conoscermi e propormi cose a casaccio,impensabili e magari poi scoprire che mi piacciono veramente e che quindi alla fine sorprendo pure me stessa,perché chi l’avrebbe mai detto.

Sapere esattamente quello che voglio e mi fa felice e prendermelo.

Voglia di guardare soffitti sconosciuti, e architetture distanti. Voglia di shock culturali,straniera in terra straniera,diversa per pelle lingua cultura.Ospite temporanea di un mondo non mio,che posso attraversare con rispetto ma che non devo accudire organizzare dirigere.

Voglia di ascoltare vedere dire fare e finalmente di nuovo voglia di baciare.

Voglia di inventare. Quelle storie assurde che racconto a sconosciuti che non vedro’ mai piu’, e ci credono. Una serata a parlare di una Me che non esiste, inventata su due piedi, viva per il tempo di una cena e un bacio della buonanotte. Una bellissima bolla di sapone che quando esplode non fa il botto e non fa male a nessuno, anzi fa ridere.

Si , mi è tornata un sacco la voglia di ridere. Adesso devo solo capire se mi ricordo come si fa. 

Come sail your ships around me
And burn your bridges down.
We make a little history baby
Every time you come around.
Come loose your dogs upon me
And let your hair hang down.
You are a little mystery to me
Every time you come around.

venerdì 22 aprile 2011

Io terrei la testa.

Il problema è che a me piacciono le capocce.
I corpi li dimentichi. E’ pieno di corpi piu’ o meno uguali.
Ogni capoccia invece è a se.
Due capocce uguali non esistono.
Ci sono capocce che ti stanno indifferenti. Altre le trovi mortalmente noiose, alcune solo decorative.
Ma quelle che ti piacciono sono da impazzire..
Quando trovi la capoccia che ti piace, poi la puoi decorare come vuoi, io di solito ci aggiungo un pizzetto,perché le capocce mi piacciono ruvide al tatto.
Mi piacciono scure. Mi piacciono le capocce un po’ distratte,quelle che pensano sempre quello che non ti aspetti,e che quando lo dicono ti guardano negli occhi.
Mi piacciono le capocce che sanno ridere e farmi ridere,e che sanno farmi pensare,mettermi in crisi. 
Come dicevo due capocce uguali non ci stanno. Quindi Ognuna ti piace per quello che è.
E non devi fare paragoni, perché sono uniche
Puoi innamorarti di ognuna di loro al massimo delle tue potenzialità. 
Ognuna sarà stata amata o odiata come di piu’ non potresti.
Per la capoccia è ottimo.
E non dispiace neanche a me.

mercoledì 20 aprile 2011

Piumone

Il mio piumone mi vuole bene.
La mattina è caldino il giusto, quel tiepido che non attufa e che solo all’idea di lasciarlo potresti morire.
Il mio piumone, mi vuole bene, perché non strafà, non mi ricopre di gradi celsius, ascolta i miei e si adegua.
Mi restituisce me stessa in pratica.
E siccome in fondo in fondo io mi piaccio.
Allora mi piace anche il mio piumone.
Sarebbe una storia perfetta , se non arrivasse l’estate!

sabato 16 aprile 2011

Sunday Morning

Sabato mattina da sola.
Amiche partite.
Casa vuota.
Io i miei cani,le tartarughe cannibali, un topo in giardino non ancora morto ma pesantemente avvelenato.
Single.
Non male.
Aria fresca,non fredda. Sole non afa. Una giornata davanti,una vita davanti.
Mi piace tutto.
Mi piace il dolore,mi piace la nostalgia,mi piace la voglia di ricominciare,mi piace non sapere che succede.
Mi piace essere sola.
C'è una parte di me che è sempre sola, e quella adesso se la sta godendo.
Ce ne è un'altra che ha imparato a restare amare essere fedele condividere aspettare coccolare accudire,e quella se la gode di meno, anzi piange.
ma per fortuna tutte le parti di me hanno una cosa in comune...quando piangono lo fanno da sole, fuori vista e si levano dalle palle,lasciando le altre libere di godersi quello che di buono c'è in ogni situazione.
Quindi sole, non afa.
casa vuota quindi mia
sabato mattina niente lavoro.
Una vita davanti.

mercoledì 13 aprile 2011

Quando finisce un amore e manca pure l'asfalto

Come si chiude una storia?
In millemila modi . Ce ne è uno non doloroso? A sto punto dubito.
Perché io mi sto impegnando. E pure lui.
Accompagnamoci ci siamo detti. 
E ci accompagnamo. 
Ma per quanto tu possa voler arrivare al baratro mano nella mano, camminando piano senza sudare o prendere storte,fermandoti per guardarti un po’ indietro e vedere se c’hai ancora voglia di andare avanti o se hai la forza per ricominciare, insomma per quanto tu possa tentennare cincischiare titubare dubitare ritardare, prima o poi sull’orlo del precipizio ci arrivi , e saltare ti tocca.
Paura Eh? A chi lo dite! Me la faccio sotto da mesi. Guardo giu’ e mi si piegano le gambe. Buono ! per saltare uno infatti piega le gambe, è la parte finale che mi frega, lo scatto di reni. Sarà l’età? Secondo me no, è consapevolezza. Consapevolezza che non è il salto.
Il salto date retta a me, non è manco il peggio.
Credo che il peggio sarà lo schianto.
Quando atterro, se sopravvivo, ve lo racconto.

martedì 22 marzo 2011

Gli uomini piangono tutti allo stesso modo


Non c’è nulla da fare. Ogni volta, ogni singola volta ho dovuto affrontare un dolore, la mia città mi è stata vicino.
E’ che non tutti riescono ad esternare. Il desiderio magari è comune. Tutti vorremmo piangere e strillare e strapparci i capelli, portare quel dolore così forte e inafferrabile sul piano fisico,per poterlo vedere oltre che sentire. Se ti tagli un dito soffri, ma vedi il sangue che esce, sai che lo devi fermare, sai che lo devi disinfettare,ci metti un cerotto,sai che poi passa. Cicatrizza.
Quando è l’anima invece a tagliarsi, non vedi niente, non ti puoi concentrare su nulla , non ci sono fiotti di sangue a distrarti, c’è solo quell’assurdo dolore che pare riempirti da ogni parte,e che preme fino a farti esplodere. In lacrime? Singhiozzi? Urla?
De martino dice che gli uomini sono diversi per cultura ma piangono tutti allo stesso modo. Sai che non è detto?
A de martino direi che è vero, inserire il pianto e il dolore in un contesto ritualizzato, simile a quello che si è visto aiuta a tenerlo in “ordine” . Ci consente in effetti di uscire ed entrare da noi stessi senza perdere la strada, Affrontandolo un pezzo per volta, un po’ da soli, un po’ accompagnati.
Ma ci sono altri modi.
Il mio è quello di dargli spazio fuori da me.  
Roma di solito.  Di notte . Le sue piazze, alle quali si arriva attraversando vicoli silenziosissimi e stretti, che ti danno il tempo di sentirti protetta prima di lasciarti  al centro di tutto quello spazio. Ed è in mezzo a quel vuoto che trova posto il mio dolore, si riversa silenzioso fra i tavolini dei bar e le gambe dei pochissimi turisti che a passi stanchi e felici se ne tornano in albergo. Si rannicchia ai piedi di simulacri di gente antica, che ha visto pensato sofferto  come me, meglio di me, più di me, e adesso ferma nel marmo ti ricorda che passa. Tutto passa. Quando proprio sento che stanno per uscirmi le lacrime, mi avvicino ad una fontana, e la guardo piangere per me. Sono belle le fontane quando piangono. Le loro di lacrime luccicano e cantano, le nostre di solito si colorano di mascara e singhiozzano. Meglio che a piangere siano le fontane che sono delle rofessioniste. Se poi c’è un nasone, è il massimo, perché con le lacrime dei nasoni ci puoi pure giocare. Farle schizzare lontano, e berle, per partecipare, e riprenderti purificato un po’ di quello che hai dato. Quando però il dolore è tanto, e comincia a riempire pure la piazza, allora ricomincio a camminare, mi perdo fra vicoli angusti, cercando i più bui, girando a destra e a sinistra senza un meta precisa, per sentirmi persa, smarrita, per ricordarmi che non sempre posso tenere tutto sotto controllo,  e che è bello anche questo girovagare, questa confusione, questo buio. E che anche nel posto più stretto, nel budello più angusto, quello in cui pensi che se ti ci infili non ne uscirai mai più, in realtà anche nell’angolo più buio, ci sono mura vecchie e fondamenta forti, e vita, e gente che ha amato respirato odiato detto, finestre che se sai guardare bene ti fanno vedere soffitti decorati , balconcini fioriti, e un pezzo di cielo, in alto. Quegli spazi stretti che raramente fanno entrare luce, di notte emanano il calore di quel poco di sole che hanno potuto vedere durante il giorno, e generosamente te lo ridanno indietro,senza egoismo. Le stelle non si vedono in città, ma i sampietrini luccicano, e non è male camminarci sopra. Così irregolari, così diversi, ognuno il suo spazio, ti fanno pensare che pure tu, prima o poi ritroverai il tuo di spazio. Nel frattempo Roma ti mette a disposizione il suo

lunedì 14 febbraio 2011

Greta


Cammina da sola
Il passo spedito di chi sa dove andare e quanto tempo ci vuole per arrivarci.
Difficile vederla, perché nonostante la massa scompigliata di capelli rossi, il resto del corpo era coperto da vestiti scuri come la notte, vestiti semplici e poco appariscenti, un paio di jeans neri, un maglione a v da uomo, nero pure quello, una giacca da completo presa dall’armadio del nonno o di qualche zio di passaggio, lo zaino sulle spalle.
Le dicevano sempre che prima o poi le sarebbe capitato qualcosa, che sempre capitava qualcosa alle ragazze che andavano in giro da sole, ma lei non vedeva alternative, doveva muoversi, voleva muoversi, e poi la notte le piaceva così tanto.
Greta era scaramantica. Non l'avreste mai vista correre dietro all’ultimo autobus, l’autobus giusto infatti non va mai rincorso ma ti capita davanti agli occhi proprio quando tu cominci a desiderarlo. Un’altra cosa che  Greta  non avrebbe mai fatto era rifiutare una sigaretta a chi la chiedeva, perché se è vero che i vizi si pagano e possibilmente ognuno i suoi, una sigaretta per chi non ne ha  non è più’ un vizio ma un bisogno, e come si fa a non aiutare chi ha bisogno.
Viveva in un mondo suo in effetti . Apparentemente distratta si muoveva in dimensioni spazio temporali particolarmente fluide. Bisogna saper cogliere il momento giusto di notte,bisogna sapersi adattare, alternativamente nasconderesi o brillare ,proprio come fanno le stelle. Di notte tutti sono amici o nemici sta a te scoprire chi dove come e quando, possibilmente senza sbagliare.
Perché uno sbaglio, di notte, da sola,  può costare caro.
Ma lei aveva un trucco.
Semplice in effetti .La tecnica era sempre la stessa .Parlare , parlare,parlare ,parlare  tanto . Raccontare tutto di te .Nominare madre padre fratelli, magari un ragazzo che tu ami profondamente ma lui no e ti fa soffrire, .Inventare storie dettagliate, citare nomi, sorridere e sognare, sembrare vera e innocente, piena di speranze per il futuro.  
E’ difficile fare male ad una così.Potrebbe essere tua figlia una cosi'.Una brava ragazza che quasi quasi avrebbe preferito stare a casa nel suo pigiama felpato, così diversa da quella virago dallo sguardo inquisitorio che per un attimo  ti  era sembrato di vedere.
Parlava con tutti, il barbone all’angolo della piazza,i baristi in chiusura, i venditori di rose l’autista del notturno che deviava il percorso per lasciarla di fronte al cancello di casa, i facchini dei mercati generali; Quelli poi l’avevano fatta ridere. Si erano ritrovate da sole su un autobus pieno di uomini .Due ragazzine poco vestite e un po’ bevute, erano  state accerchiate rapidamente, e lei  si  era infastidita dal puzzo di ascella e caffè corretto che sentiva intorno, soffocata dal peso di tutti quegli occhi. Stizzita  aveva aperto un bottone alla camicetta, aveva lasciato scoperto un pezzo di carne più morbida alla vista e aveva detto sarcastica:
”godi, popolo cencioloso”.
La prima a ridere era stata la sua amica, non riusciva più a fermarsi, li guardava in faccia e rideva, un attimo di sconcerto poi piano piano avevano riso pure gli altri e tutto era rientrato nella norma: Dove andate in giro a quest'ora? Mo lo senti tu padre quando rientri e alla fine le avevano salutate bonari, tutti quegli uomini le avevano fatte scendere senza neanche sfiorarle e si erano raccomandati  ”nnate a dormì regazzi’”
,Un classico.La sua vera specialità però erano i tassisti. Quelli di piazza Venezia poveracci .Li puntava nell’ombra, poi con la faccia da cappuccetto rosso si aggirava smarrita nei dintorni del parcheggio, chiedeva informazioni sui notturni, sugli orari, gli itinerari, alla fine trovava quello che aveva un fine turno e che abitava sempre “vicino a casa sua”.
 Lei si sedeva davanti e cominciava a tessere.
Era un viaggio di risate e battute e poi OPS “ho solo soldi sani” , e loro sereni incassavano  soldi  falsi i  senza controllare e davano il resto in soldi veri. Altri invece si facevano pagare  quei pochi spicci  che stavano nel portafoglio e la salutavano con un sorriso paterno, timidi nel darle una pacca sulle spalle e un buon consiglio. Loro ,gli stessi che  solo pochi minuti prima che lei cominciasse a parlare ,  non avrebbero esitato a dargliela sul culo la pacca. Ma come fai, potrebbe essere tua figlia!
Funzionava.
Quasi sempre.
Eh già, non è fatta solo di simpatici gnometti in ape a furgoncino e universitari brilli, la notte.
C’è stata quella volta in cui Greta ha dovuto pensare a come scappare, calcolare ogni mossa, domandandosi come fosse successo, perché non si fosse accorta che quello non era innocuo, che quello non si accontentava di una battuta e un numero di telefono finto. 
Doveva trovare una soluzione, perché l’aria dentro la macchina non si scaldava mai, non c’era comunicazione con quello li, la lasciava parlare ma non ascoltava VERAMENTE, Decisamente non era empatico lui:
Solo goloso. E freddo.
Doveva essere fredda anche lei, pensare a come correre e quando, continuare a fargli credere di aver caricato  Cappuccetto  Rosso.
Che occhi grandi che hai
Adesso arriviamo sotto casa e lui ferma la macchina, non posso rimanere chiusa in macchina con lui, nessuno mi sentirebbe, nessuno mi vedrebbe, devo uscire, devo continuare a ridere e a sembrare tranquilla.
Che mani grandi che hai
Adesso arriviamo sotto casa e io gli dico che c’è un matto che si aggira nella zona e gli chiedo di accompagnarmi al portone, lui pensera' meglio cosi' per strada magari ci vedono e io almeno esco da sta macchina.Dal cancello al portone ci saranno 400 metri, lui non lo sa ma sono tutti palazzi s
e mi aggredisce per strada posso urlare,non si affaccerà nessuno, ma forse si, forse lui si spaventa e scappa. forse funziona. 
Le chiavi lei le tiene sempre in mano, le stringe nel pugno facendo sporgere un paio di punte fra le dita, fa finta di giocarci, che le piaccia, non è violenta è solo una donna .
Che orecchie grandi che hai!
Arrivata al portone continuo a parlare,  devo continuare a ridere e a parlare, non si deve accorgere che sto aprendo il portone,devo farlo ridere,devo farlo ingolosire, devo continuare a sorridere.
Che bocca grande che hai
 Lui diventa più nervoso, vede il portone ormai spalancato, capisce che ha fatto male i suoi conti,  sa di non poter urlare, fare rumore,  e reagisce,  la tiene per un braccio, la trattiene, le dice che vuole solo un bacio, ma la stretta le fa male e contraddice quel tono leggero,   lei si divincola ,  non ride più adesso ,  è cattiva e fredda come lui,  piu' di lui, lui che vuole SOLO  un bacio, almeno uno ,insiste, lei  riesce a infilarsi nell'atrio, il portone d'ottone sbattutto su quel muso di lupo affammato.
Non la puo' seguire ora,ma lei sale di corsa  le scale , solo 13 scalini e entra in casa, ha il fiatone, le tremano le gambe,e le braccia resteranno segnate per settimane .
Ma è a casa ormai. e le viene da ridere.
Domani si torna col notturno.